lunedì 18 agosto 2014

Gli alimenti.



Sempre nell'ottica di raccogliere nozioni utili nell'ambito della separazione coniugale, in questo post allego una spiegazione molto esaustiva sul tema degli alimenti da corrispondere al coniuge.
Questo è un argomento molto delicato in quanto, nella mia professione di Investigatore Privato a Roma, noto pressochè quotidianamente che molte separazioni finiscono da consensuali in giudiziali, proprio per il mancato accordo tra le parti nell'entità degli alimenti da corrispondere/ricevere.
Ovviamente ho notato che anche questo è usato come arma "punitiva" dal coniuge tradito e/o abbandonato.. Massimiliano Altobelli - Detective Privato a Roma .



Gli alimenti.





Gli alimenti consistono in una prestazione a carattere patrimoniale (versamento di una somma di denaro) effettuata da un soggetto obbligato (in primo luogo il coniuge), sulla scorta del principio di reciproca assistenza e solidarietà all'interno del gruppo familiare, nei confronti di un beneficiario che versa in stato di bisogno. L'obbligo non sorge se non vi è una persona che si trova in stato di bisogno ed è impossibilitata a provvedere al proprio mantenimento non potendo (per i più svariati motivi) lavorare.

>Che cosa sono
>Presupposti per ottenere gli alimenti
>Caratteristiche degli alimenti
>Differenza tra assegno di mantenimento e alimenti
>Ordine degli obbligati
>Calcolo dell’assegno alimentare
>Revisione dell’obbligazione alimentare

 Che cosa sonoTorna su
 Gli alimenti sono una forma di assistenza economica che, in caso di separazione o divorzio, il coniuge economicamente più agiato versa nei confronti del coniuge più svantaggiato per il soddisfacimento dei bisogni base.
 Presupposti per ottenere gli alimentiTorna su
 Presupposto del diritto agli alimenti è l’impossibilità da parte di uno dei coniugi di provvedere in maniera autonoma al proprio sostentamento economico perché sprovvisto di redditi e non in grado di procurarseli.
Il coniuge agiato ha il dovere di assicurare a quello più svantaggiato una cifra sufficiente da utilizzare per i bisogni primari.
I criteri su cui si fonda la legittima richiesta per chiedere gli alimenti sono:
  1. lo stato di bisogno oggettivo in cui si trova il coniuge (per esempio non può far fronte alle spese minime della vita quotidiana come il vitto e l’alloggio);
  2. l’impossibilità lavorativa, cioè quando l’alimentando non è nelle condizioni di poter lavorare non perché non voglia ma perché, per esempio, non lo ha mai fatto, non ha più l’età per farlo, ha problemi di salute o a trovare il giusto impiego in base alle proprie attitudini. Al pari di quanto accade per l’assegno di mantenimento la capacità lavorativa viene valutata caso per caso anche per l’assegno alimentare.
  3. l’altro coniuge è in grado di pagare gli alimenti.

Caratteristiche degli alimentiTorna su
 L’obbligo di prestare gli alimenti, per le finalità e per i presupposti a cui è condizionato, ha carattere strettamente personale: cessa con la morte di uno dei due soggetti (intrasmissibile a causa di morte); il beneficiario non può cedere ad altri il proprio credito (incedibile) né questo può formare oggetto di pignoramento (ossia non può essere “vincolato” per soddisfare altre pretese creditorie).
Inoltre, nella disciplina degli alimenti, vige il divieto della compensazione.
Se l’avente diritto agli alimenti fosse debitore verso l’obbligato, quest’ultimo non potrebbe rifiutare di prestare gli alimenti in forza del suo credito: chi si trova in stato di bisogno deve essere soccorso e soddisfatto in quanto l’obbligo alimentare ha natura principale rispetto a qualsiasi altro obbligo di pagamento.
L’obbligo alimentare, infine, opera per il futuro: gli alimenti sono dovuti  dal giorno della domanda formulata al giudice per il loro ottenimento o da quando il soggetto obbligato è stato intimato ad adempiere.
 Differenza tra assegno di mantenimento e alimenti  Torna su      
 Il diritto al mantenimento è relativo alla prestazione a favore del coniuge economicamente debole di tutto quello che risulta indispensabile alla conservazione del tenore di vita assunto in costanza  di matrimonio.
Esso spetta al coniuge che non ha avuto responsabilità nella separazione.
Fondamento del diritto agli alimenti è, viceversa, lo stato di bisogno in cui versa il coniuge che risulta privo di mezzi e impossibilitato a provvedere al proprio sostentamento, in tutto o in parte,  tramite lo svolgimento dell’attività lavorativa.
Le differenze salienti tra assegno di mantenimento e alimenti possono essere così sintetizzate:
  1. l’assegno di mantenimento viene elargito solo nel caso in cui non ci sia addebito di separazione, mentre quello alimentare anche in caso di addebito;
  2. l’assegno di mantenimento viene versato indipendentemente dallo stato di bisogno del beneficiario, quello alimentare si fonda proprio sul presupposto dello stato di bisogno del coniuge che non è in grado di provvedere al proprio mantenimento;
  3. a differenza dell’assegno di mantenimento che è sempre rinunciabile (i coniugi possono decidere di non versarlo o di versarlo in un’unica soluzione), quello alimentare è espressamente irrinunciabile;
  4. l’assegno di mantenimento può essere richiesto anche nel caso in cui l’avente diritto lavori ma guadagni poco, quello alimentare solo se il destinatario non lavora e non sia nelle condizioni di poterlo fare.

Ordine degli obbligatiTorna su
 Vi è un ordine tra gli obbligati agli alimenti: la legge stabilisce infatti una graduatoria tenendo conto dell’intensità del vincolo parentale; l’alimentando, nel richiedere la prestazione, deve seguire tale gerarchia.
I soggetti obbligati sono:
  1. il coniuge, sulla scorta del principio di assistenza morale e materiale della famiglia fondata sul matrimonio, il cui obbligo permane anche nell’ipotesi in cui coniugi si separino;
  2. i figli  (nati nel matrimonio o fuori del matrimonio, anche adottati);
  3. i genitori, gli ascendenti prossimi (per esempio i nonni) e gli adottanti;
  4. gli affini e, in particolare, il genero e la nuora con precedenze sul suocero e la suocera;
  5. i fratelli.
Nell’ipotesi in cui vi siano più obbligati di pari grado, ciascuno è tenuto a corrispondere in maniera concorrente gli alimenti proporzionalmente alle condizioni economiche: i giudice può disporre temporaneamente l’obbligazione a carico di uno solo degli obbligati.
 Calcolo dell’assegno alimentareTorna su
 L’entità della’assegno alimentare viene stabilita tenendo conto, da un lato, del bisogno di chi richiede gli alimenti, dall’altro, delle condizioni economiche di chi li deve somministrare.
L’assegno in questione deve essere idoneo a coprire vitto, alloggio, abbigliamento, cure mediche, nonché tutti quei beni idonei a garantire una vita dignitosa all’alimentando.
L’obbligo che sorge ha come limite quello di non dover superare le esigenze di vita dell’alimentando: questo criterio non è assoluto ma relativo, avuto riguardo alla sua posizione sociale.
L’adempimento dell’obbligo alimentare può consistere, alternativamente e a scelta del creditore, nella corresponsione di un emolumento periodico o nell’accoglimento dell’alimentando in casa (da precisare che non è un’alternativa tassativa in quanto il beneficiario degli alimenti può rifiutare di essere ospitato in casa dell’obbligato).
Il giudice, inoltre, può fissare, in attesa di stabilire il modo e la misura degli alimenti, il versamento di un assegno provvisorio.
 Revisione dell’obbligazione alimentareTorna su
Il versamento degli alimenti deve adeguarsi al bisogno del coniuge in difficoltà e alle condizioni economiche del coniuge obbligato e, per questo motivo, non ha una durata prestabilita ed una misura determinata: esso può cessare se viene meno lo stato di bisogno o, se mutano le condizioni economiche, può essere ridotto o aumentato.
Anche la condotta del coniuge può influire sulla modificazione dell’importo degli alimenti: se , infatti, il coniuge che ne beneficia assume nel tempo una condotta riprovevole o disordinata, l’altro può chiedere la riduzione della cifra che può, in ogni momento essere modificata.
Su istanza della parte interessata, infatti, il giudice può disporre la modifica o la revoca dei provvedimenti relativi all’assegno in questione come pure può, in caso di inadempienza di uno dei coniugi, disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato, oppure ordinare ad un terzo (datore di lavoro, enti pensionistici …) che una parte delle somme di denaro che, periodicamente, corrispondono all’obbligato, siano versate direttamente all’avente diritto per la soddisfazione del credito.

fonte: dirittierisposte.it

domenica 17 agosto 2014

La separazione consensuale


La separazione consensuale è la separazione che la maggior parte delle persone sarebbero intenzionate a fare, ma il problema, dalla mia esperienza, è che ci vorrebbe buon senso da entrambe le parti. Questo è molto molto difficile.
La separazione, a mio avviso, andrebbe trattata come una "trattativa" dove si dovrebbe cercare di uscire ottenendo e concedendo qualcosa. A parole è fattibile, ma dal vero diventa più complesso. Infatti subbentrano nel discorso e quindi nella "trattativa" i rancori e gli eventuali torti che si ritiene di aver subito.
Allora la separazione divenda un modo per "vendicarsi" per "far valere le proprie ragioni" nei confronti del coniuge, spesso sottovalutando gli interessi dei figli e i propri interessi pratici.
Ma questo è.
A volte dico ai Clienti: Bisogna interpretare la separazione come un "grave incidente stradale" dove ci si salva, ma "si contano i danni"..

Massimiliano Altobelli - Investigatore Privato a Roma



La separazione consensuale




La separazione consensuale è lo strumento attraverso il quale marito e moglie, di comune accordo tra loro, decidono di separarsi. La separazione consensuale non è quindi possibile in mancanza di un accordo tra i coniugi che investa ciascuna questione (diritti sul patrimonio, mantenimento del coniuge debole, diritti di visita e mantenimento della prole, assegnazione della casa coniugale) ed acquista efficacia con un provvedimento emesso dal Tribunale, l'omologa (in pratica il Tribunale si limita a validare, controllare e dichiarare efficaci le condizioni determinate dai coniugi congiuntamente).

>Che cosa è
>L’omologazione
>Competenza
>Il procedimento di omologazione
>Revisione delle condizioni
>Validità degli accordi non contenuti nel decreto di omologa
>Riconciliazione
>Provvedimenti relativi ai figli

 Che cosa èTorna su
 La separazione consensuale è un procedimento a cui si ricorre quando i coniugi sono d'accordo sia nel richiedere al Tribunale la separazione, sia su come regolare i loro rapporti quando cessa la convivenza: quindi, sono d'accordo su come regolare l'affidamento dei figli, la loro dimora abituale ed il diritto di visita del genitore col quale non coabitano; l'assegnazione della casa coniugale; il contributo al mantenimento dei figli o del coniuge economicamente più debole; le altre eventuali questioni economiche e patrimoniali.
E’ la forma di separazione legale sicuramente preferibile non solo per l’immaginabile minore conflittualità che si viene normalmente ad instaurare fra i coniugi (peraltro con notevoli riflessi positivi anche in merito ai rapporti con gli eventuali figli), ma anche perché presenta forme procedurali decisamente più snelle e rapide.
 L’omologazioneTorna su
 La separazione consensuale acquista efficacia con l’omologazione da parte del Tribunale che è un atto di controllo relativo alla legittimità della separazione, vale a dire sull’esistenza e la validità del consenso prestato dai coniugi e la compatibilità delle condizioni con la legge e con i principi di ordine pubblico.
Nonostante le parti, infatti, possano in maniera insindacabile valutare la sussistenza dei presupposti per la separazione, non possono non rispettare i doveri che derivano dal loro stato di coniugi né regolare in totale libertà determinati rapporti essendo, per esempio, tenuti a rispettare alcuni obblighi come quello di mantenimento del coniuge separato privo di mezzi adeguati.
Da ciò deriva la nullità (cioè l'invalidità) – rilevabile dal giudice stesso e comportante l’esclusione dell’omologa – di un’eventuale clausola che comportasse l’esclusione di tale obbligo al mantenimento.
Nello stesso modo, accanto al controllo di legittimità, il giudice deve effettuare un controllo sul merito relativo alla salvaguardia degli interessi dei figli.
In caso, infatti, di contrasto con le disposizioni relative all’affidamento  e al mantenimento dei figli  il giudice riconvoca i coniugi indicando le modificazioni che gli stessi devono adottare nell’interesse della prole e in caso di “inidonea soluzione” può rifiutare l’omologazione.
 CompetenzaTorna su
 Per la domanda di separazione dei coniugi è competente il Tribunale:
  • del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi;
  • in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha la residenza o il domicilio;
  • del luogo di residenza o domicilio del ricorrente, qualora il coniuge convenuto sia residente all’estero, o risulti irreperibile e, se anche questi è residente all’estero, qualunque tribunale della Repubblica.
     
 Il procedimento di omologazioneTorna su
 Il procedimento di omologazione della separazione consensuale è disciplinato in un unico articolo del Codice di Procedura Civile e, per questo, è necessario ricorrere all’applicazione di alcune norme relative alla separazione giudiziale, per quanto compatibili.
La domanda si propone con ricorso che obbliga il Presidente del Tribunale a fissare con decreto, entro cinque giorni dal deposito in cancelleria, il giorno della data di comparizione delle parti per il tentativo di conciliazione.
I coniugi sono obbligati a comparire personalmente davanti al Presidente.
Non è necessaria l’assistenza di un difensore.
All’udienza di comparizione il Presidente deve sentire i coniugi, prima separatamente poi congiuntamente, tentando la conciliazione.
Se quest’ultima riesce il Presidente fa redigere il verbale di conciliazione, se non riesce fa verbalizzare la volontà dei coniugi di separarsi e le condizioni relative ai coniugi e alla prole.
Esaurita la fase presidenziale, il tribunale decide in merito all’omologazione in camera di consiglio e, ottenuto il parere del P.M., se ritiene le condizioni concordate dai coniugi legittime e conformi all’interesse dei figli, emette il decreto di omologazione, che ha efficacia di titolo esecutivo (che è uno strumento per la soddisfazione dei diritti previsti dal decreto di omologazione)  e deve essere annotato in calce all’atto di matrimonio dall’ufficiale di stato civile.
Se il giudice reputa le condizioni stabilite dai coniugi nell’accordo non conformi alle norme del codice e agli interessi dei figli indica le modifiche da apportare all’accordo che, se non vengono recepite, possono comportare il rifiuto dell’omologazione.
 Revisione delle condizioniTorna su
 Il decreto di omologazione non è idoneo a formare il giudicato: questo significa che le condizioni di separazione consensuale sono espressamente modificabili.
Nel caso, infatti, in cui mutino le circostanze di fatto e di diritto le condizioni possono essere rivisitate e ogni eventuale clausola contenente la rinuncia alla modifica delle stesse risulta totalmente inefficace.
La legge consente ai coniugi di chiedere al tribunale la modificazione dei provvedimentirelativi a loro ed ai loro figli, ammettendone la revisione qualora sussistano giustificati motivi, la cui sussistenza deve essere provata dal coniuge che ne richieda la modifica.
Queste circostanze che giustificano il mutamento delle condizioni possono essere:
  1. soggettivi (per esempio le condizioni di salute etc.);
  2. oggettivi (per esempio le sopravvenute precarie condizioni economiche etc.).
     
Se vi è accordo tra i coniugi gli stessi chiedono con ricorso l’omologa delle nuove condizioni con un procedimento simile alla separazione.
Se non vi è accordo si aprirà un procedimento che si concluderà con un decreto.
 Validità degli accordi non contenuti nel decreto di omologaTorna su
 Il verbale di omologazione non contiene sempre la disciplina completa degli accordi dei coniugi.
Spesso vengono conclusi patti integrativi o modificativi rispetto a quelli omologati e possono essere contestuali, antecedenti o successivi all’omologazione.
Circa l’ammissibilità e la validità di questi patti non c’è una posizione univoca; secondo alcuni, infatti, tali accordi (anche successivi) dovrebbero essere sottoposti ad omologa perché possano essere efficaci.
 RiconciliazioneTorna su
 Nulla impedisce ai coniugi separati di far cessare la separazione con la riconciliazione.
Nella pratica non sono stati considerati sufficienti a realizzare la riconciliazione:
  • la consuetudine dei coniugi di riunirsi durante i fine settimana o in occasione delle vacanze
  • l’assistenza prestata al coniuge separato malato con visite giornaliere
  • la coabitazione nella stessa casa
  • la corresponsione di somme al coniuge separato
  • le visite agli amici comuni.
     
Viceversa, sono stati considerati sufficienti a realizzare la riconciliazione:
  • la ripresa continuativa della convivenza in una nuova abitazione con l’esecuzione di lavori di ristrutturazione
  • la ripresa continuativa della convivenza con ricevimento di amici e parenti e festeggiamento dell’anniversario di matrimonio.

 
Provvedimenti relativi ai figliTorna su
In fase di separazione vengono anche adottati i provvedimenti relativi ai figli.
Il d.lgs. 154/2013 ha introdotto gli artt. 337 bis e seguenti che disciplinano l’esercizio dellaresponsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all'esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio.
In particolare il legislatore si è occupato dei seguenti aspetti:
  1. diritto del figlio di mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione ed assistenza;
  2. esercizio della responsabilità genitoriale da parte di entrambi i coniugi;
  3. obbligo dei genitori di mantenere i figli in proporzione al loro reddito;
  4. assegnazione della casa coniugale in base all’interesse dei figli e tenendo conto del diritto di proprietà e della regolazione dei rapporti economici;
  5. ascolto del minore - salvo il caso in cui sia per lui dannoso o superfluo – qualora debbano essere presi provvedimenti che lo riguardano;
  6. obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni nel caso in cui essi non siano autosufficienti economicamente.


fonte: dirittierisposte.it

mercoledì 13 agosto 2014

La separazione giudiziale




Sempre con l'obiettivo di fornire più chiarezza in merito alle normative di Legge che regolano la separazione tra coniugi, in questo post viene spiegata la "separazione giudiziale".
Mi capita molto spesso nella mia attività di Investigatore Privato a Roma di fornire al Cliente le prove   che poi lo porteranno (purtroppo o per fortuna, dipende dai punti di vista) ad affrontare una separazione giudiziale.
Di seguito vengono spiegate con chiarezza i vari aspetti di tale separazione.
Massimiliano Altobelli - Investigatore Privato



La separazione giudiziale







La separazione giudiziale è un procedimento attraverso il quale uno solo dei coniugi o ciascuno di essi con proprio ricorso autonomo (in questo caso si hanno due iniziative distinte che verranno riunite) chiedono al Tribunale competente di pronunciare una sentenza di separazione che regoli i loro rapporti, essendo cessata la convivenza tra loro. La separazione giudiziale si distingue da quella consensuale perché in quest'ultima i coniugi sono d'accordo sia nel richiedere al Tribunale la separazione, sia su come regolare i loro rapporti circa l'affidamento dei figli, l'assegnazione della casa coniugale e le questioni economiche e patrimoniali.

>Che cosa è
>Intollerabilità della convivenza
>L’addebito della separazione
>Competenza
>Forma della domanda e fase presidenziale
>Fase davanti al Giudice Istruttore
>Provvedimenti
>Revisione delle condizioni di separazione
  
Che cosa èTorna su
La separazione giudiziale è il procedimento promosso da uno dei coniugi in contrasto con l’altro con il quale si ottiene una sentenza di separazione e si verifica quando si realizzano dei fatti, anche indipendenti dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, tali da rendere intollerabile la convivenza o da recare pregiudizio all’educazione dei figli.
Intollerabilità della convivenzaTorna su
 La separazione giudiziale, secondo il vecchio testo dell’art. 151 del Codice Civile, poteva essere ottenuta da un coniuge solo adducendo una “colpa” dell’altro, che doveva consistere in una delle cause elencate nel testo allora vigente del codice (adulterio, sevizie, minacce, violenze, ingiurie gravi, condanna a pene per reati gravi, volontario abbandono, eccessi, mancata fissazione della residenze o fissazione di una residenza con convivente).
Non era ammessa una domanda di separazione fondata sul solo fatto di non voler più continuare la vita in comune.
Il nuovo testo dell’art. 151 del Codice Civile consente di chiedere la separazione nel caso in cui la prosecuzione della convivenza sia diventata “intollerabile” (per entrambi o per uno solo di essi) o tale da “recare grave pregiudizio all’educazione della prole”.
Questi presupposti possono verificarsi “indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi”.
Molto si è discusso su cosa intenda il legislatore con il termine “intollerabilità della convivenza”:
  1. tesi minoritaria: l’intollerabilità è stata causata dalla violazione dei doveri nascenti dal matrimonio.
  2. tesi prevalente: l’intollerabilità può derivare anche da situazioni indipendenti da violazioni di obblighi coniugali (ad esempio incompatibilità di carattere o nelle abitudini e modi di vivere).
Esemplificando la separazione può essere chiesta quando la frattura del rapporto coniugale dipenda da disaffezione e distacco spirituale anche di una sola delle parti e nonostante l’altro coniuge abbia assunto un atteggiamento di accettazione e disponibilità che può trovare spiegazione nel tentativo di recuperare il rapporto.
Le situazioni di intolleranza della prosecuzione della convivenza e di pregiudizio per la prole si verificano anche  quando non risulti che i coniugi hanno avuto un comportamento volontariamente contrario ai doveri nascenti dal matrimonio ma è semplicemente venuta meno l’affezione tra i due che esprimono l’intenzione di non voler più condividere la comunanza di vita che richiede il matrimonio.
Anche il fallimento del tentativo di conciliazione e la elevata conflittualità delle parti costituiscono elementi idonei a rilevare la presenza di una situazione di intollerabilità.
L’addebito della separazioneTorna su
 Nel caso in cui il fallimento della vita in comune sia da ricondurre a comportamenti contrari ai doveri che derivano dal matrimonio da parte di uno dei coniugi, il giudice, se gli viene richiesto, può dichiarare nella sentenza a chi sia addebitabile la separazione.
La pronuncia di addebito comporta degli effetti di ordine patrimoniale ed economico: al coniuge che sia dichiarato responsabile della separazione non può, infatti, essere attribuitol’assegno di mantenimento ma, se ricorrono i presupposti, gli può solo essere riconosciuto il diritto agli alimenti.
Il coniuge cui sia stata addebitata la responsabilità della separazione vede limitati anche i suoi diritti successori nei confronti del patrimonio dell’altro coniuge.
 CompetenzaTorna su
 Per la domanda di separazione dei coniugi è competente il Tribunale:
  • del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi;
  • in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha la residenza o il domicilio;
  • del luogo di residenza o domicilio del ricorrente, qualora il coniuge convenuto sia residente all’estero, o risulti irreperibile e, se anche questi è residente all’estero, qualunque tribunale della Repubblica.
La competenza è inderogabile in quanto nel procedimento è previsto l’intervento obbligatorio del pubblico ministero, il quale, in ogni fase del procedimento, può produrre prove nuove, avanzare richieste e addirittura impugnare la sentenza se lede gli interessi dei figli.
Forma della domanda e fase presidenzialeTorna su
 La domanda di separazione  si propone con ricorso.
Il ricorso deve contenere l’esposizione dei fatti sui quali si fonda la domanda, la dichiarazione sull’esistenza di prole e devono essere allegate le dichiarazioni dei redditi degli ultimi anni dei due coniugi (possibilmente gli ultimi tre anni).
Il Presidente del Tribunale accoglie il ricorso e, nei cinque giorni successivi al deposito dello stesso, fissa con decreto:
  • la data (entro novanta giorni dal deposito del ricorso) dell’udienza di comparizione dei coniugi davanti a sé;
  • il termine per la notificazione del ricorso a cura del coniuge che l’ha promosso e del decreto al coniuge convenuto;
  • il termine entro cui il coniuge convenuto può depositare la memoria difensiva e i documenti.
L’udienza di comparizione si svolge davanti al Presidente del Tribunale (questa è la prima delle due fasi in cui si divide il processo di separazione) e devono comparire obbligatoriamente e personalmente i coniugi con l’assistenza dei rispettivi legali.
Si possono verificare due situazioni “anomale”:
  1. il coniuge che ha promosso la separazione non si presenta: il Presidente dichiara estinto il processo per rinuncia degli atti.
  2. non compare il coniuge convenuto: il Presidente dovrà fissare una nuova udienza ed eventualmente decidere con ordinanza le questioni urgenti che non possono essere rimandate all’udienza successiva.
Se entrambi i coniugi compaiono all’udienza il Presidente tenta la conciliazione cercando di far desistere le parti dal separarsi: se si accordano e si riconciliano viene redatto processo verbale e la causa si estingue.
Se la conciliazione non riesce, nomina il giudice istruttore e fissa udienza di comparizione e trattazione davanti a quest’ultimo.
Fase davanti al Giudice IstruttoreTorna su
 La seconda fase del processo di separazione si svolge davanti al Giudice Istruttore ed è simile ad un processo ordinario con la differenza che il giudice non può tentare nuovamente la riconciliazione e può assumere d’ufficio nuove prove relative alla prole.
Nel caso in cui, oltre all’istanza di separazione, ci siano altre questioni da trattare (divisione del patrimonio ecc.) il giudice può emettere una sentenza non definitiva di separazione con la quale sentenzia immediatamente la separazione e fa proseguire la causa solo per risolvere le residue questioni.
Il giudizio si conclude con una sentenza di separazione emessa dal Tribunale che può essere impugnata come una sentenza ordinaria (ossia può essere richiesta una rivisitazione della sentenza ad altro giudice).
 ProvvedimentiTorna su
 Il Presidente dà con ordinanza i provvedimenti temporanei ed urgenti che reputa opportuni nell’interesse dei figli (affidamento) e dei coniugi (assegnazione dell’abitazione e mantenimento del coniuge), nomina il giudice istruttore, fissa il giorno in cui si terrà l’udienza davanti allo stesso giudice istruttore, fissa il termine entro il quale il coniuge convenuto si deve costituire se non lo ha già fatto partecipando all’udienza di comparizione.
L’ordinanza è immediatamente esecutiva (cioè costituisce un titolo per attivare l’esecuzione forzata, ossia un procedimento per la soddisfazione dei diritti del coniuge), modificabile e revocabile in ogni momento con successiva ordinanza del giudice istruttore, è appellabile in ogni momento con reclamo presso la Corte d’Appello.   
Il Tribunale emette sentenza relativa alla separazione, che può essere anche non definitiva nel caso in cui il processo deve continuare per la definizione delle questioni economiche e di quelle relative alla richiesta di addebito e all’affidamento dei figli.
Con particolare riferimento ai provvedimenti relativi ai figli, il d.lgs. 154/2013 ha introdotto un insieme di norme uniche e comuni per i rapporti genitoriali: i nuovi artt. da 337 bis a 337 octies dettano delle regole di riferimento in materia di separazione e di rapporti tra genitori e figli.
Queste le principali novità:
  1. affidamento ad un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso;
  2. assegnazione della casa coniugale in base al titolo di proprietà e agli accordi economici e valutato l’interesse dei figli;
  3. obbligo dell’ascolto del minore, salvo il caso in cui sia superfluo o dannoso per lo stesso;
  4. obbligo di mantenimento dei figli minori e maggiorenni se non autosufficienti economicamente.
     
 Revisione delle condizioni di separazioneTorna su
 Le statuizioni contenute nella sentenza di separazione possono essere, in qualsiasi momento, per giustificati motivi, revocate o modificate dal tribunale su istanza di uno o di entrambi i coniugi.
Alcuni esempi sono da ricondurre al caso di sopravvenute ulteriori necessità economiche del coniuge titolare del diritto all’assegno, o viceversa, di miglioramento della sua condizione economica, o di variazione di quella del coniuge obbligato.
Nella stessa misura i provvedimenti relativi ai figli sono sempre modificabili sia per quanto riguarda il loro affidamento), sia relativamente all’attribuzione dell’esercizio della responsabilità genitoriale su di essi  e delle eventuali disposizioni in materia di misura e modalità del contributo.
L’assegno di mantenimento, sia a favore dell’altro coniuge sia a favore dei figli, è rivalutato annualmente secondo gli indici Istat.

fonte: dirittierisposte.it

martedì 12 agosto 2014

L'assegnazione della casa coniugale


Altro argomento di estrema utilità.. infatti l'assegnazione della casa coniugale è indiscutibilmente uno dei problemi più importanti da affrontare per la separazione. Ovviamente dopo il collocamento dei figli.
Massimiliano Altobelli - Investigatore Privato a Roma






L'assegnazione della casa coniugale






L'assegnazione della casa coniugale (o familiare: il termine è da considerare sinonimo) è il provvedimento adottato dal giudice in caso di separazione o di divorzio dei coniugi volto ad assicurare al residuo nucleo familiare (coniuge affidatario e eventuali figli) la conservazione dello stesso ambiente di vita domestica goduto in costanza di matrimonio. Questo tema è comprensibilmente uno degli argomenti di maggior conflitto tra coniugi che stanno per separarsi tenuto conto che vengono a scontrarsi esigenze diverse: da un lato quella del coniuge non proprietario che vorrebbe continuare ad abitare nella casa che è centro dei suoi affetti, dall'altro quella del coniuge proprietario che vorrebbe tutelato il suo diritto di proprietà.


>Definizione
>Cos’è la casa coniugale
>Presupposti dell’assegnazione
>Mancanza di figli
>Posizione dell’assegnatario della casa coniugale
>Assegnazione parziale o comune dell’immobile
>Revoca del provvedimento di assegnazione

DefinizioneTorna su
 L’assegnazione della casa coniugale è finalizzata a preservare, nel caso di separazione dei coniugi, la continuità delle abitudini domestiche nell’immobile costituente l’habitat familiare.
In modo particolare ha lo scopo di proteggere i figli (qualora ci siano) dal trauma di essere costretti a vivere lontano dal luogo dove fino a qual momento hanno condotto la loro esistenza.
 Cos’è la casa coniugaleTorna su
 Il legislatore non ha fornito una definizione di casa coniugale nonostante tale termine sia dallo stesso utilizzato.
I giudici distinguono due significati:
  1. la casa intesa come il bene immobile in cui si è svolta la vita coniugale e familiare;
  2. il centro di aggregazione della famiglia durante la convivenza inteso in senso psicologico come nucleo domestico. 
La normativa relativa all’assegnazione della casa coniugale si riferisce a questa seconda interpretazione.
Caratteristiche della casa familiare sono: l’abitualità, la stabilità e la continuità nel godimento dell’immobile.
Conseguentemente oggetto di assegnazione è solo quell’immobile che sia stato centro di aggregazione durante la convivenza (escludendo seconde case o altri immobili di cui in coniugi potevano avere la disponibilità) comprendente anche tutto il complesso di beni mobili, arredi, suppellettili ed attrezzature orientato ad assicurare le esigenze della famiglia.
 Presupposti dell’assegnazioneTorna su
Ai fini di creare  una armonizzazione della disciplina relativa alla filiazione e ai rapporti dei figli con i genitori il legislatore, attraverso il d.lgs. 154/2013, ha inserito un corpo normativo unico: i nuovi articoli da 337 bis a 337 octies diventano le norme di riferimento relative all’esercizio della responsabilità genitoriale per tutti i tipi di controversie in tema di separazione e divorzio e in caso di interruzione della convivenza tra partners non sposati.
In particolare, in tema di assegnazione della casa coniugale la finalità rimane quella di tutelare i figli.
Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà.
 Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio.
In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all'altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l'avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio.
La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire l’altro genitore.
Ci si è posti il problema se la presenza e la convivenza di figli (minorenni o maggiorenni) costituisca una condizione essenziale per il giudice per emanare un provvedimento di assegnazione della casa in sede di separazione o se, viceversa, l’assegnazione possa essere disposta anche in assenza di figli (per esempio per equilibrare la posizione economica dei due coniugi separati).
Secondo alcuni giudici l’assegnazione della casa familiare deve rappresentare non solo uno strumento di garanzia e di tutela dai figli ma anche un modo per proteggere il coniuge che non abbia un reddito adeguato.
Altri giudici in prevalenza e più di recente, però, ammettono l’assegnazione della casa di famiglia solo in presenza di figli.
 Mancanza di figliTorna su
 Al coniuge (non proprietario) non spetta generalmente il diritto all’assegnazione della casa coniugale.
Tuttavia, la questione si complica nel caso in cui il diritto di abitazione serva ad equilibrare i rapporti economici tra i coniugi e a soddisfare l’eventuale diritto al mantenimento (sussistente anche se mancano figli).
Come già si è detto in precedenza, alcuni giudici ritengono che l’assegnazione della casa coniugale può essere richiesta al giudice nell’ambito della domanda di mantenimento, ma presuppone un’esplicita istanza, in mancanza della quale non sussiste in capo al giudice stesso un dovere (e un potere) di assegnarla.
La maggioranza dei giudici esclude tale possibilità poiché ritiene che il diritto al mantenimento può essere soddisfatto solo quantificando la somma di denaro da versare e il Giudice non può imporre al debitore di estinguere il suo obbligo con l’assegnazione della abitazione.
 Posizione dell’assegnatario della casa coniugaleTorna su
 Qualificare la posizione giuridica del coniuge cui è assegnata la casa coniugale assume particolare rilevanza nel caso in cui l’altro coniuge sia il proprietario dell’immobile.
A tutela del’assegnatario è previsto espressamente che il provvedimento di assegnazione è suscettibile di trascrizione (è uno strumento per la soluzione di conflitti tra più soggetti acquirenti di diritti reali su determinati beni) nei registri immobiliari della Conservatoria (per renderlo opponibile a eventuali terzi che dovessero acquistare diritti sull’immobile).
Il diritto che l’assegnatario esercita sulla casa familiare viene fatto rientrare in tre categorie, a seconda dell’orientamento seguito:
  • diritto reale di abitazione (è il diritto di abitare una casa limitatamente ai bisogni della famiglia).
  • diritto del comodatario (il comodato è il contratto con cui una parte consegna all’altra una cosa mobile o immobile, affinchè questa se ne serva per un tempo o  uso determinato, con l’obbligo di restituirla) che giustificherebbe il diritto di servirsi della casa adibita a residenza familiare fino a che non vengano meno i presupposti.
  • diritto personale di godimento non previsto esplicitamente dall’ordinamento: la maggioranza dei giudici fa ricadere in questo schema il diritto del coniuge assegnatario, che trova la sua fonte nel provvedimento del giudice.
Nell’ipotesi in cui i coniugi siano comproprietari della casa familiare e abbiano adeguati redditi, il giudice non può assegnare la casa in modo esclusivo ad uno solo di essi: le parti devono determinarsi liberamente e, qualora non trovino un accordo, possono chiedere la divisione dell’immobile.
 Assegnazione parziale o comune dell’immobileTorna su
In alcuni casi, quando la situazione concreta lo consente (per esempio l’immobile è molto grande) i giudici hanno ammesso l’assegnazione parziale della casa familiare suddividendola tra i coniugi e dividendola in due separate unità abitative.
Il fine principale è quello di consentire ai figli minori di mantenere rapporti significativi e paritari con entrambi i genitori cui sono affidati.
L’assegnazione parziale non può essere disposta nei casi in cui l’immobile non sia materialmente divisibile, per struttura o per ridotte dimensioni, o anche quando vi sia tra i coniugi un’insanabile conflittualità.
 Revoca del provvedimento di assegnazioneTorna su
 Il diritto di godimento della casa familiare in capo al genitore affidatario vene meno quando l’assegnatario non abita o cessa di abitare stabilmente nella casa coniugale o conviva o contragga nuovo matrimonio.
La revoca può anche verificarsi quando vengono meno i presupposti che giustificano il provvedimento: per esempio, il raggiungimento della maggiore età e dell’autosufficienza economica dei figli o la morte del coniuge assegnatario.
L’estinzione del diritto di abitazione non è automatica o di diritto, ma deve sempre essere dichiarato dopo aver valutato l’interesse dei figli.

fonte: dirittierisposte.it